Festa del Perdono, 1817, 1944 e 2020, le tre edizioni cancellate

Aprile 9, 2020 0 Di Redazione

“Salito poi al trono pontificio con il nome di Pio IV, Giovanni Angelo Medici si ricordò del borgo di Marignano ed elargì una ‘Bolla del Perdono’ con la quale si conceda l’indulgenza plenaria a chi, il Giovedì Santo, avesse reso omaggio a Dio nella parrocchiale di Melegnano”. È il cuore religioso, che non ha mai smesso di battere dal lontano 1563, a raccontare la vera essenza del Perdono. Lo farà anche oggi con la liturgia dell’esposizione della Bolla nella Basilica Minore di San Giovanni, alla quale i fedeli potranno assistere solo in diretta tv o internet, grazie a Melegnano Web tv, su www.melegnano.tv. La drammatica emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha causato però l’annullamento del vivace e colorato contorno: la 457a Fiera del Perdono. La Festa melegnanese riuscì persino ad evitare, nel 1576 e nel 1630, due ondate di peste. Per bloccare la prima, l’amministrazione comunale decise la costruzione di un lazzaretto nell’attuale zona della cappella della Madonnina di Sarmazzano; per contenere la seconda, edificò per tempo l’Ospedale dei Pellegrini, vicino all’attuale chiesa di San Pietro. È invece il 1817, anno tragico per il numero di morti d’inedia e tifo lungo la Penisola, a cancellare la Festa. Nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, viene organizzata una mostra zootecnica di equini e bovini, che la stampa dell’epoca descrive “splendida, significativa in ogni sua parte”. Durante il Secondo conflitto mondiale, dal 1939 al 1945, in un Paese votato all’economia bellica, la Fiera del Perdono si piega ma non si spezza. Si organizzano piccole rassegne di bestiame bovino e di cavalli con, a corredo, qualche minore manifestazione: nel 1942 si svolge per tre soli giorni. Ma nel 1944 – in un’Italia stretta nella morsa della guerra tra l’occupazione nazista e l’avanzata degli Alleati – la Festa melegnanese deve ripiegare: nessun genere di manifestazione. La zootecnia lombarda, prima pietra su cui si vuol fondare il rilancio della Fiera nel dopoguerra, è colpita dall’afta epizootica (di cui anche l’uomo può essere veicolo di contagio). “Per quest’anno si prevede un forte afflusso di equini, circa 1500 capi, dei quali un centinaio già giunti dal Belgio ed altri in arrivo, cui farà corona una ricca serie di mostre”, scrive il “Corriere della Sera” del 2 aprile 1947. Gli ungulati – bovini, ovini, caprini e suini – non vennero infatti esposti dagli allevatori in quanto colpiti e decimati dal virus. Un fatto che si ripete nel 1949 a causa di una recrudescenza dell’epidemia, di cui si manifestano in zona alcuni sintomi. Nel 2020, questa città della Bassa Milanese sorta sulle rive del Lambro cerca la rinascita dalla sua indulgenza plenaria, per i vivi e per i morti. 

Marco Pedrazzini

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