Tornano i sintonia distorta

Aprile 23, 2020 0 Di Redazione

Non è musica facile, anche se è sempre melodica; niente astrattismo o sperimentazioni contorte ma brani lunghi sì. A volte molto lunghi, come si usa nel cosiddetto rock progressivo. Fedeli a questa ispirazione, da poche settimane sono tornati con il nuovo album “A piedi nudi sull’arcobaleno” i Sintonia Distorta di Lodi. Un nome che ha già alle spalle venticinque anni di carriera e uno stile fortemente personale che ha portato un contratto con la Lizard records di Treviso, etichetta-santuario del prog in Italia, nazione da sempre molto abile a confezionare questo sottogenere di rock caratterizzato dalla contaminazione. Se la produzione è veneta, la registrazione è completamente “made in Lodi”, presso il TreeHouse Lab di via Selvagreca. Nel precedente “Frammenti d’Incanto” (2014) avevano scritto una canzone perfetta (“Il cantastorie”), mentre nel successore propongono brani più lunghi e articolati, con alcune punte nel ritornello superazzeccato come in “Solo un sogno”. In questo periodo avrebbero dovuto anche trasvolare in Canada per suonare là ad un importante prog festival (all’estero impazziscono per il progressivo italiano), ma poi ci si è messo di mezzo il coronavirus. Pazienza, si recupererà.
   Nel frattempo abbiamo chiesto al cantante e autore di quasi tutti i testi Simone Pesatori due parole di presentazione su “A piedi nudi sull’arcobaleno”. Completano l’organico Gianpiero Manenti (tastiere, voce), Claudio Marchiori (chitarra), Marco Miceli (flauto, sax), Giovanni Zeffiro (batteria, voce).
Il vostro album precedente, “Frammenti d’incanto” di cinque anni fa, suonava più eterogeneo rispetto a questo. L’iniziale “Anthemyes” era quasi symphonic metal, poi c’erano brani hard rock, altre erano quasi canzoni all’italiana. Questo sembra più omogeneo: sei d’accordo?
“L’analisi è corretta. Frammenti” si collocava ancora un po’ troppo a metà strada tra un certo hard’n heavy e il rock progressivo. La scelta di coinvolgere un importante produttore artistico quale il musicista genovese Fabio Zuffanti, tra i personaggi di maggior spicco in ambito 
prog, nonché l’innesto di un validissimo flautista/saxofonista come Marco, avevano proprio l’obiettivo di virare il sound verso il progressive di stampo settantiano. Non senza, ovviamente, mantenere la nostra identità e dare al tutto una certa modernità”.
A proposito di identità, vi hanno paragonato al Biglietto per l’Inferno, un mitico gruppo prog italiano di metà anni Settanta che fece due dischi mezzi hard rock mezzi sinfonici, e poi si sciolse. Il cantante Claudio Canali poi è entrato in un eremo cappuccino sulle Alpi Apuane,  ed è morto qualche anno fa…
“Non nego che il paragone con un gruppo di culto come il Biglietto emoziona e… un pò spaventa anche!! Comunque, se lo dicono, qualcosa di fondato c’è: noi come loro abbiamo questo retroterra in cui entra un pò di tutto, abbiamo queste lunghe suites strumentali in cui la chitarra, anzichè la tastiera predomina…”.
Per chi conosce il mondo fra prog e metal italiano, questo disco ha degli ospiti importanti.
“Sì, oltre al produttore Zuffanti si leggono nei credits alcune perle… Ci hanno dato una mano Roberto Tiranti, l’ex cantante dei Labyrinth; Luca Colombo, chitarrista per un circo musicale vastissimo, da Eros Ramazzotti a Phil Collins; Paolo Viani, che ha suonato nei progers
Black Jester ed è poi stato arruolato da un gruppo mitico come gli americani Warlord; infine per alcune parti vocali i Musici Cantori di Milano diretti dal maestro Mauro Penacca. 

Emanuele Dolcini

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