Melegnano e il colera del 1836, corsi e ricorsi storici

Aprile 24, 2020 0 Di Redazione

Quante volte si è sentito dire che la pandemia di coronavirus del 2019-20 “rimarrà nella storia” e che rappresenta un evento unico di cui non esiste memoria. Insomma: diciamo “ni”. Rimarrà nella storia come ci è restata nel 1991 la Guerra Usa-Iraq, che fu la prima guerra raccontata in diretta tivù; questa è effettivamente la prima epidemia infettiva planetaria raccontata sui social e velocemente quanto lo è oggi la globalizzazione. In Italia era già arrivata quando pensavamo di averla tenuta fuori dagli aeroporti. 
Ma che in passato non ci si sia mai confrontati con una Grande Paura di queste proporzioni lo può dire chi vive unicamente nel presente. Rileggiamo cosa scriveva lo storico (e medico) Giuseppe Gerosa Brichetto (1910-1996), nel suo monumentale volume “Ottocento melegnanese”, uscito trenta anni fa, a proposito dell’influenza stagionale: “l’influenza è quasi sempre ritenuta una forma banale, cercando di ignorare che dietro di sè nasconde lo spettro delle grandi epidemie le quali nel passato hanno investito tutta l’umanità: vedi nel lontano ‘500 e sul finire del secolo scorso (che allora era il diciannovesimo, nda). Più vicino a noi dopo le due grandi guerre, ci è rimasto il triste ricordo che un male, già noto ai tempi di Ippocrate, potrebbe ogni anno comparire all’orizzonte e trovarci ancora sostanzialmente disarmati”: qui il riferimento è all’influenza “asiatica” del 1957-58, che in Italia causò trentamila vittime ufficiali e fra 1 e 2,5 milioni di morti in tutto il mondo. Proprio gli studi del Brichetto, uno dei padri della storia locale nel Sudmilano, suggeriscono uno spunto per riscoprire un particolare dell’urbanistica melegnanese: la dedica di una via a Felice Senna (1777/1854), che fu medico condotto a Melegnano e paesi del circondario durante l’epidemia nazionale di colera degli anni 1836 e 1837. Prima dell’unità d’Italia in quel biennio, 
soprattutto in estate, si verificò la più grave diffusione epidemica nello Stivale: il dilagare del “cholera”. 
In quel contesto agì, a Melegnano e dintorni, la figura del medico oggi diremmo “di prossimità territoriale”, Felice Senna. La città che non era esattamente la sua nativa, essendo egli di Sant’Angelo Lodigiano, gli dedicò una via e intendeva anche dedicargli un monumento sotto il municipio, dove oggi c’è il busto del generale Giuseppe Dezza. Alla fine il monumento non si fece, e anche su questo fa resoconto lo storico melegnanese. Quel colera fece molte vittime. Ventisettemila in Lombardia, però nei soli quattro mesi estivi del 1836. Duecentocinquanta almeno a Melegnano e paesi con cascine isolate attorno. Tuttavia le vittime sarebbero potute essere molte più, e nel sud Italia di fatto lo furono: la Lombardia, all’interno del regno lombardo veneto sotto controllo austriaco, riuscì a limitare relativamente i danni applicando una serie di disposizioni igieniche più che medico-farmaceutiche, in questo settore veramente primitive. Non venne prescritto il “distanziamento sociale”, in quanto il colera non è un virus (anzi un batterio) respiratorio ma gastrointestinale, e le epidemie europee di colera nell’Ottocento servirono soprattutto a rendersi conto di quanto carente fosse l’igiene pubblica. 
Ecco alcune disposizioni del medico condotto Felice Senna:
1)”procurare la maggior possibile polizia della persona: tenere pulito gli abiti, la camiscia, i letti cambiandone gli antichi paglioni”; 
2)”si raccomanda la polizia della casa, scopandola ogni giorno; dare aria alla stessa nelle ore del mattino, togliere i pollai dalle stanze, i porcili, ecc.”
3)”la polizia delle corti e contrade ciascheduno davanti al proprio abitato, procurando che non s’arrestino alla lunga immondezza d’ogni sorta”;
4)”polenta, pasta, pane ed altro non prenderne che non sia ben cotto ed in non molte quantità specialmente la sera. Fagioli, erbioni (piselli,nda) e fave ben cotte e ben masticati e non raffreddati in caldai non istagnati.  Acqua berne non moltissima, se è possibile corretta con qualche goccia di aceto; vino o buono e poco o non  berne del tutto”. 
C’è un grande assente: il cassetto delle medicine in ogni casa. 

Emanuele Dolcini

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