Michela Giaveri: i nostri nonni sono il futuro
Gennaio 25, 2021Dopo gli studi in ambito alberghiero e infermieristico, si orienta verso l’umanitario. In questo settore, riesce ad esprimere e a dare il meglio di sé
Come spieghi il passaggio tra due ambiti di studio diversi?
<Tra scuola alberghiera e facoltà di Infermieristica, la scelta è stata difficile: non volevo deludere amici e parenti; d’altro canto, desideravo qualcosa di diverso. Dopo la scuola alberghiera, mi sentivo incompleta: volevo aiutare le persone. Inizialmente, non conoscevo le differenze tra master e lauree. Ho comunque deciso di frequentare l’università, dopo un anno sabbatico, in cui ho lavorato e, parallelamente, preparato il test per poter entrare. Il giorno dell’esame, ho realizzato il fatto che diverse persone si erano candidate a più università. Ciononostante e con sorpresa, sono entrata a far parte delle graduatorie a scorrimento. Se si crede in un’ambizione apparentemente difficile da realizzare, si può senza dubbio raggiungerla con successo grazie alla motivazione>.
Cosa ti ha dato l’esperienza legata all’Infermieristica?
<Senza dubbio, delle sfide, sia per l’ambiente, sia per me stessa. Ho avuto l’opportunità di incontrare docenti e pazienti che mi hanno consentito di arricchirmi a livello umano e accademico. L’esperienza in reparto è stata toccante e indimenticabile. Curare le persone mi ha permesso di entrare in contatto con il dolore che la malattia può provocare. Ho appreso quanto sia importante aprire il cuore, fare una carezza e trasmettere il proprio sostegno. L’università e i tirocini in ospedale erano orientati all’innovazione e continui aggiornamenti sull’aspetto medico, infermieristico e deontologico. Questo percorso di studi mi ha fatto concentrare su aspetti reali della vita in particolare legati agli anziani. Infatti, ho lavorato presso la Fondazione Castellini, come infermiera, da metà marzo a inizio giugno 2020. In tal senso, ho imparato anche a crescere>.
Come hai avuto modo di applicare questi insegnamenti, nella vita quotidiana e concreta?
<Così è stato con mia nonna si è trattato di guardarla, sia con i teneri occhi di una nipote, sia come infermiera. Questo mi ha permesso di prevenire alcune problematiche, confrontandomi con i parenti e il medico di base per attivare delle cure specifiche, chiamate palliative, che hanno l’obiettivo di alleviare dolore e sofferenza. Avvicinarmi a mia nonna è stata un’occasione notevole: non avevo mai avuto un legame così importante con lei, fino a quel momento. Ho imparato ad ascoltare anche i silenzi: a volte, gli anziani “parlano poco” di ciò che desiderano, a causa delle energie che vengono meno, o per paura di dare un peso. C’è la necessità di applicare l’empatia, come capacità di mettersi nei panni dell’altro, in modo da riuscire ad anticipare alcuni discorsi e bisogni>
Di cosa ti occupi oggi, alla luce di quanto hai raccontato?
<Grazie alle esperienze che custodisco nel cuore, mi sto dedicando ad un progetto interamente rivolto alle persone anziane che porta il nome di mia nonna: “Progetto Anna”. Questa idea sviluppa all’interno i bisogni più rilevanti, quali l’assistenza medica, l’alimentazione e la relazione. Nel progetto. sto già collaborando con medici, infermieri e nutrizionisti. Sto anche creando gite, attività di “pet therapy”, visite in cascina, viaggi e pellegrinaggi in luoghi sacri>.
Stefano Chiesa